sabato 18 febbraio 2012

COME MANGIAVANO E BEVEVANO GLI ETRUSCHI

I veri progenitori della cucina toscana furono gli Etruschi che presso i Romani ebbero fama di grandi bevitori dediti ai piaceri della mensa. Queste usanze furono ritenute da alcuni scrittori latini fra le cause della loro decadenza.
La terra d'Etruria era molto fertile e produttiva: stando alle testimonianze fornite sia da reperti archeologici che da testi latini, era coltivata soprattutto a frutteti, legumi e cereali, tanto che proprio questa terra sarà in grado di rifornire di grano Roma nei difficili momenti di carestia.
La cucina degli Etruschi si basa dunque innanzi tutto sul farro la cui minestra è assai diffusa in tutte le classi sociali, così come basilare è l'uso dei legumi come lenticchie, ceci, fave. Ma i resti faunistici giunti fino a noi ci testimoniano anche il consumo nell'alimentazione della carne di bovini, ovini, suini e cacciagione, soprattutto di cervi e cinghiali che venivano cucinati alla brace su treppiedi e graticole o in grandi calderoni di bronzo e che erano ovviamente riservati alle classi più abbienti, servizi soprattutto nei banchetti, vere e proprie cerimonie che testimoniavano l'appartenenza sociale. Su queste tavole non mancava neanche il pesce, visti i ritrovamenti di ami e di reti; ma certamente questo alimento era meno diffuso rispetto alla carne perché la disponibilità era decisamente inferiore.
Diffusissimo invece era l'uso del latte e dei suoi derivati, visto che l'allevamento degli ovini, caprini e bovini era intenso, specialmente nella parte meridionale dell'Etruria.
Altresì anche le classi meno abbienti potevano arricchire la propria alimentazione con verdura e frutta che nella buona stagione veniva seccata e perfino esportata verso la Gallia. I condimenti erano prevalentemente di origine animale, ma a partire dal secolo VII a.C. veniva prodotto anche l'olio d'oliva che era usato principalmente nell'industria degli unguenti e dei profumi, ma anche nella preparazione dei cibi.
La bevanda di base, l'unica di cui ci sono giunte testimonianze, è il vino, proveniente dalla Grecia nel corso del VIII secolo a.C., ma già dal secolo successivo prodotto in tutta l'Etruria e perfino esportato in varie regioni del Mediterraneo. Un vino che non poteva essere bevuto pretto, perché fortissimo; doveva essere mescolato con abbondante acqua usando grandi vasi dalla bocca larga che consentissero di attingerlo agevolmente. Era l'unica bevanda riservata ai simposi e ai banchetti e veniva servito da anfore o brocche in coppe di varia forma da numerosi schiavi che accudivano i commensali in uno scenario piuttosto ricco, rallegrato da musica e danzatori in cui erano ammesse anche le donne (che invece non erano ammesse presso altri popoli, ad esempio presso i Greci). La partecipazione ai simposi e ai banchetti guadagnò una certa cattiva fama alle donne etrusche, soprattutto di forti e smodate consumatrici di vino.
Usanze, dunque, e cucina molto evolute sono quelle degli Etruschi che molto insegnarono ai Romani e di cui ancora oggi rimane nella terra di Toscana qualche retaggio, foss'altro l'uso sempre più diffuso (anche grazie alla moderna dieta mediterranea) dei cereali e della ormai diffusissima e apprezzatissima minestra di farro.

CHIANTI : UNA TERRA UN VINO

Il Chianti è una regione storico-geografica, simbolo della civiltà contadina toscana, che comprende le colline che sorgono fra i Monti del Chianti a ovest e i fiumi Arno, Ombrone e Arbia a est; è quindi il territorio che abbraccia la parte meridionale della provincia di Firenze e la parte settentrionale di quella di Siena. Zona collinare con un terreno roccioso su cui sembra un miracolo che su un sottile strato fertile possano essere rigogliosi, oltre al bosco, la vite, l'olivo e l'orto. Una regione geografica che ha una sua storia perché fu terra di conflitti fra Siena e Arezzo e fra Firenze e Siena, terra di santi e di combattenti, di grandi artisti, di contadini e signori, terra di colline, di poggi, con fattorie e ville, castelli e pievi, abbazie e torri mozze, borghi di pietra e severi palazzotti, terra che ha dato vita da circa cinque secoli a uno dei vini più famosi d'Italia.

CHIANTI , UN VINO DA DIFENDERE E PROTEGGERE:LE REGOLE

Qualche regola già dal 1444 era stata data dagli organismi della Lega del Chianti per difendere questo vino nel buon nome e nella qualità. Ma fu il Granduca Cosimo III che affrontò il problema in maniera organica con un bando del 1716: furono fissati i termini di produzione e di vendita, ma ne fu tutelata anche la denominazione stabilendo i confini dei territori delle varie produzioni e prevedendo pesanti sanzioni per i casi di contraffazioni e traffico clandestino. Un bando che precorreva i tempi e che garantiva i consumatori.
Fondamentale fu sotto questo aspetto l'azione del Barone Ricasoli che elaborò un vero e proprio codice del Chianti, un vino che - come scriveva nel 1870 al professor Studiati di Pisa - «riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo e una certa vigoria di sensazione; dal Canaiolo l'amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli niente del suo profumo per esserne pur esso dotato; la Malvagia, della quale si potrebbe fare a meno per i vini destinati all'invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle prime due uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all'uso della tavola quotidiana». Oltre a indicare le uve, il codice Ricasoli dà le regole per la lavorazione, stabilendo che i raspi dovevano essere separati dalle vinacce, i tini per la fermentazione dovevano essere chiusi, la svinatura rapida e che successivamente "si stringono le vinacce, e il vino che n'esce si riunisce al primo in botti, nelle quali prosegua la fermentazione".
Nel 1878 il Chianti con le regole del barone Bettino Ricasoli trionfò all'Esposizione di Parigi.

DOVE IL VINO POTEVA CHIAMARSI CHIANTI

A partire dal XIX secolo la terra del Chianti dal punto di vista vinicolo incluse progressivamente le valli della Pesa e dell'Arbia e quasi tutta la val di Greve in quanto le loro caratteristiche ambientali non erano dissimili da quelle del Chianti storico e producevano un vino altrettanto pregiato.
Il riconoscimento ufficiale fu sancito con una legge del 1932 che inserì nel territorio di produzione tutta la Toscana centrale: un'area suddivisa in sette sottozone (Classico, Colli aretini, Colli fiorentini, Colline pisane, Colli senesi, Montalbano, Rufina) che avevano l'obbligo di produrre il vino con i tradizionali vitigni chiantigiani (Sangiovese, Canaiolo, Malvasia a cui nel frattempo si era aggiunto anche il Trebbiano) e mantenere una qualità costante. Tali confini - ufficializzati geograficamente dalla carta dell'Istituto Geografico militare di Firenze - furono ribaditi nel 1967 con una legge denominata "Disciplinare del Chianti" che creò migliaia di ettari di vigneto specializzato e fissò una rigida regolamentazione che definiva la gradazione alcolica e l'invecchiamento necessari per ottenere la qualifica "Vecchio" o "Riserva" per i vini delle varie zone. Si istituiva inoltre la denominazione di origine controllata (Doc) estesa successivamente ad altri territori: Montespertoli, Cerreto Guidi, Gambassi, Agliana, San Miniato, tutti di antica tradizione vinicola; ma ad essi non era concesso aggiungere sull'etichetta l'indicazione di provenienza del loro "Chianti".
Il vino del Chianti classico fino al 1991 si fregiava del marchio "Gallo Nero", ma dopo varie vicende giudiziarie una sentenza ne sancì il diritto all'azienda vinicola americana "Gallo Winery" di Ernest e Julio Gallo. Nacquero così le denominazioni "Chianti classico" e "Chianti geografico" (quest'ultima scelta da un gruppo di fattorie chiantigiane); anche il marchio "Putto" (usato al di fuori del Chianti classico) mutava la sua denominazione in "Colli fiorentini".
Un punto fermo nei territori nel Chianti fu stabilito - anche se non certo in modo indolore - in un convegno svoltosi nel 1997 in cui fu ribadito che il Chianti era formato da tutti i territori di Radda, Castellina, Gaiole, Greve, mentre Barberino Valdelsa, San Casciano Val di Pesa, Castelnuovo Berardenga ne vedono escluse ampie zone e Poggibonsi ne è completamente estromesso.
L'appartenenza alla regione del Chianti e i suoi confini è dunque un problema sempre aperto e discusso e sta a testimoniare il fascino indiscusso di questa terra, oggi tanto ambita dagli stranieri, tedeschi e americani soprattutto, che la vivono con profondo rispetto.
Per quanto riguarda il vino Chianti, bisogna dire che oggi è decisamente diverso da quello regolamentato dal Barone di ferro: non solo la produzione massima rispetto ai vigneti è stata quasi dimezzata, ma, eliminate le uve bianche e ridotto il Canaiolo, oggi si valorizza il Sangiovese; la gradazione alcolica ha raggiunto i 12° e 12,5° per la riserva e l'invecchiamento nelle migliori aziende mediamente raggiunge - prima dell'immissione sul mercato - i ventiquattro mesi.
L'aroma è intenso, dal profumo di mammola che, spiccato nel Chianti classico, si va progressivamente affinando con l'invecchiamento. È un vino vivo e rotondo se governato nell'annata, che diviene col tempo morbido e vellutato.
Un vino che di questa terra è un simbolo, un vanto, una ricchezza storica.

CHIANTI " LA VINIFICAZIONE "

Sono molto antiche, precisamente del 913 d.C., le pergamene ritrovate nella chiesa di Santa Caterina a Lucignano dove si parla di vinificazione in Chianti. Abbiamo notizia che nel 1023 a Grignano nella giurisdizione di Firenze furono concesse terre lavorative e vignate a un colono impegnato a migliorarle. E negli stessi anni i signori di Brolio - i Firidolfi da cui discesero i Ricasoli - fecero piantare le viti sulle pendici sottostanti al loro castello.
Nell'epoca del sorgere dei Comuni, il commercio del vino fu un'importante fonte di ricchezza, tanto che a Firenze nella seconda metà del Duecento, fra le arti minori fu fondata quella dei Vinattieri accompagnata dall'apertura di sempre nuove osterie dove gustare e punti vendita dove commerciare il vino. Il consumo del vino in questi anni non è più limitato alle tavole signorili, ma entra nell'uso popolare, presente in tutte le mense, considerato un alimento indispensabile, anche quando ci si doveva accontentare di un acquarello ottenuto dalla seconda e terza spremitura dell'uva; era un integratore di un cibo spesso scarsamente energetico e insufficiente.
La quantità in cui veniva consumato il vino in ogni ambiente sociale era - a partire dal XIII secolo - in costante aumento ovunque, nonostante fosse soggetto a tasse sempre più alte e quindi a continui rincari.
Ma il termine Chianti comparirà solo alla fine del XIV secolo: prima il vino toscano era denominato vermiglio se rosso e vernaccia se bianco. Certo è che già nel catasto fiorentino del 1427 venivano rigorosamente distinti da tutti gli altri vini toscani quelli prodotti nel "Chianti con tutta la sua provincia" perché giudicati superiori (a parte i bianchi di alcune località del Valdarno superiore). Anche prima di chiamarsi Chianti, del resto, il vino prodotto in questa zona era rinomato per un processo di vinificazione inventato poco dopo la metà del Trecento da due fiorentini e che consisteva nell'aggiungere al vino appena svinato una piccola percentuale di uva passita e di farlo rifermentare per ottenere un vino purissimo. Erano previsti inoltre albume d'uovo, mandorle amare e sale per chiarificare, pepe e petali di rosa per conferire un bel colore.
Un decisivo passo nel campo della tecnica produttiva avvenne grazie agli studi sulla vinificazione di Giovanni Cosimo Villifranchi che ci lasciò utili notizie nella sua opera Oenologia toscana (1773). Ci informa che "l'uva deve essere in buona parte Canaiolo nero con qualche quantità di San Gioveto, di Mammolo e di Marzimino", precisando le eventuali sostituzioni, il "governo" per il quale si usava il mosto sostituito, negli anni in cui il vino risultava troppo aspro o di colore troppo intenso, con il Canaiolo bianco o col Trebbiano perché il vino doveva essere "di un color di rubino molto pieno".
Precisazioni necessarie perché - scrive il Villifranchi - "molti per sete di guadagno e per non disdire le richieste tagliarono il vino Chianti con vino d'altri luoghi", tanto che fu necessario prendere la saggia risoluzione "di non lo spedire altrimenti in botti ma bensì in fiaschi".

CHIANTI "LE LEGGENDE"

A Panzano, a pochi chilometri dal paese, un oratorio testimonia il culto tributato verso la metà del XII secolo in questa terra a Sant'Eufrosino patrono del Chianti, dove sarebbe giunto dalla natia Cappadocia alla fine della travagliata vita spesa per evangelizzare molte genti e anche gli abitanti di questi luoghi dove alla fine della sua vita trovò sepoltura.
A Sant'Eufrosino sono stati attribuiti molti miracoli, avvenuti soprattutto grazie all'acqua miracolosa fornita da un pozzo che sorge in prossimità dell'oratorio e che fino a tutto l'Ottocento fu meta per i pellegrini che giungevano dai più lontani luoghi della Toscana.
Ma se la leggenda di Sant'Eufrosino è molto antica e si è perpetrata negli anni e nei secoli, è pur vero che in questa terra le narrazioni leggendarie hanno trovato origine anche in tempi più recenti. Ricordiamo quella relativa al "Barone di ferro", Bettino Ricasoli (1809-1880), così chiamato per la durezza del carattere che si manifestava sia con i contadini che con i familiari. Fu dittatore in Toscana nel 1859 in nome di Vittorio Emanuele II preparando l'annessione al Piemonte di questa regione e successivamente per due volte ricoprì la carica di primo ministro. Sulla sua morte si racconta che, mentre si stava svolgendo la cerimonia funebre nella cappella di famiglia del castello di Brolio, un forte vento spalancò porte e finestre e rovesciò quattro ceri che stavano agli angoli del catafalco e che immediatamente si spensero. Un fatto che sembrò voluto da forze ultraterrene per significare la scomunica inflitta al barone che si era adoperato per sopprimere alcuni ordini religiosi e per confiscare numerosi beni ecclesiastici. Nel Medioevo infatti il rito di scomunica prevedeva che quattro ceri venissero spenti capovolti violentemente al suolo come segno della perdita della luce divina e della condanna alle tenebre dell'inferno.
Da quel momento lo spettro del barone di ferro cominciò a manifestarsi ovunque a piedi o a cavallo, nel parco e sui bastioni del castello con grandi rumori e fracassamenti.
Per esorcizzare tale presenza fu chiamato un frate cappuccino che richiese una seconda cerimonia funebre durante la quale, mentre la bara portata a spalle si faceva sempre più pesante, nuovamente si scatenarono i venti che si placarono solo grazie a un esorcismo che riuscì a incatenare l'anima del padrone in una macchia poco lontano dal castello. E ancora oggi è lì che il barone - si dice - continua a manifestarsi con latrati spaventosi e rumore di cavalli al galoppo e di ruote di carri.

CHIANTI , IL SUO VINO E GRANDI PERSONAGGI

Molti sono i piatti caratterizzati dall'aroma del vino Chianti che di questa terra è l'elemento dominante, apprezzato in tutti i tempi, certamente a partire dagli Etruschi e dai Romani (anche se quali fossero le caratteristiche di tale vino non è dato sapere). E quando successivamente le invasioni barbariche sconvolsero il nostro paese, in questa zona appartata i monaci benedettini e vallombrosani si dedicarono a trascrivere documenti legati all'agronomia e alla viticoltura e a metterne in pratica le regole, diffondendo questa preziosa cultura, custodita in badie come Coltibuono, Passignano, Poggialvento.
Negli anni, soprattutto dopo il Mille, si intensificò in tutta la zona la coltura "specializzata" della vite, coltivata in forme basse, a filari, spesso protetta da brolii o addirittura dalle mura cittadine per difenderla dai danni del bestiame e dai furti. La toponomastica di alcune strade fiorentine lo dimostra. Via della Vigna Vecchia, via della Vigna Nuova, via Vinegia, Santa Maria in Vigna (successivamente Santa Maria Novella) testimoniano la presenza della vite non solo ai margini ma anche all'interno stesso della città. Vigne molto protette, dunque: gli estranei non vi potevano entrare, i danni che potevano essere provocati da uomini o animali erano duramente puniti, la distruzione poteva addirittura meritare la tortura. E, d'altra parte, il vino era soggetto a una fiscalità pesante e la qualità era pagata in base alle valutazioni del Catasto.
Il vino Chianti è ospitato in molte pagine di personaggi di primo piano che con la terra del Chianti ebbero rapporti.
Michelangelo Buonarroti (1475-1564) che nel Chianti ebbe delle proprietà non risparmia nel suo epistolario elogi al vino Chianti che produceva, beveva e offriva agli amici con grande entusiasmo, tanto che trovò modo di farne dono di un barilotto al papa; e Machiavelli (1469-1527) quando, sospettato di congiura antimedicea, cercò rifugio nei suoi "poveri" poderi del Chianti dalla sua casa, l'Albergaccio in Sant'Andrea in Percussina dove stava scrivendo il Principe, amava recarsi all'osteria a "ingagglioffirsi" (come lui stesso scrive), a bere e giocare, prima di rivestire "panni curiali" per disquisire sui temi della politica di cui fu grande innovatore.
E di Galilei (1564-1642) l'allievo Vincenzo Viviani ricorda che nella sua villa presso Grignano il grande scienziato dimenticava le accuse di eresia dilettandosi "nella delicatezza de' vini e delle uve e del modo di custodire le viti, ch'egli stesso di propria mano le potava e legava nelli orti".
Ma non dimentichiamo Francesco Redi (1626-1698) che pur ponendo al primo posto il vino di Montepulciano che "d'ogni vino è re" tesse le lodi del nostro Chianti con questi versi: «Lingua mia già fatta scaltra / gusta un po', gusta quest'altro / vin robusto che si vanta / d'esser nato in mezzo al chianti?». Un vino definito "maestoso, imperioso" che dal cuore «scaccia senza strepiti ogni affanno e ogni dolore».
Un vino dunque che in qualche modo coincide con la vita, la storia, le tradizioni della sua terra; terra che può farsi vanto di apprezzamenti da parte di grandi personaggi di ieri come di oggi appartenenti a tutte le arti, non ultima la musica. È bello ricordare che proprio la terra del Chianti ha dato vita alla ormai famosissima Accademia Chigiana. Infatti nel 1923 in seguito a un incontro del conte Chigi Saracini con Arrigo Boito, avvenuto nella sua secentesca villa che si trova nei pressi di Castelnuovo Berardenga, nacque la famosa accademia che prese il nome dal padrone di casa e che solo diciannove anni dopo fu trasferita a Siena da dove la sua fama si è diffusa in tutto il mondo.